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Caporalato nell’agroalimentare: ecco come le agromafie prosperano senza regole

Scopri come il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori continuano a influenzare la filiera agroalimentare italiana, con gravi conseguenze sulla sicurezza e la dignità dei lavoratori.
  • Il giro d'affari delle agromafie supera i 20 miliardi di euro.
  • Il rapporto dell'Ispettorato Centrale della Tutela Qualità e Repressione Frodi ha riportato 54.615 controlli.
  • In Italia ci sono 137 strutture attraverso cui passa il 50% dell'offerta ortofrutticola.
  • La spesa per i consumi alimentari domestici è aumentata dell’8,1% rispetto al 2022.
  • Dal 2000 al 2024 i prezzi hanno subito un aumento del 58,9%.

Il caporalato arriva in tavola: così resiste la filiera del cibo senza regole

Le imprese agricole che lavorano male e sfruttano la manodopera riescono a vendere e prosperare, continuando ad avere un mercato. Aree grigie e zone d’ombra caratterizzano i processi e gli impianti produttivi non corretti, con provenienze delle materie prime dubbie e controlli distratti e superficiali. Nonostante le regole, i protocolli, i capitolati e le certificazioni, non tutto l’agroalimentare nazionale brilla in trasparenza.

Non si tratta solo di malaffare criminale, ma anche di negligenze colpevoli e leggerezze. L’episodio dell’Agro Pontino è gravissimo, con un immigrato lasciato morire dopo l’amputazione di un braccio. Non sono isolati i ritrovamenti di alimenti fuori norma e i casi di racket e episodi criminali nei mercati e nei campi. Il giro d’affari delle agromafie supera i 20 miliardi di euro e spazia dall’abigeato al controllo degli appalti di forniture alimentari attraverso strumenti di estorsione e intimidazione.

In questo contesto, il caporalato gioca un ruolo di primo piano nello sfruttamento dei lavoratori regolarmente presenti in Italia. Secondo Coldiretti, la malavita comprende la strategicità del settore in tempi di crisi economica e chiede controlli severi su tutto l’agroalimentare. I dati riportati dall’ultimo rapporto dell’Ispettorato Centrale della Tutela Qualità e Repressione Frodi arrivano a 54.615 controlli, senza contare quanto fatto dai Carabinieri e altre forze dell’ordine.

Le imprese agricole che lavorano male e sfruttano la manodopera riescono a vendere e prosperare, agevolate dalla struttura della filiera agroalimentare. Troppi produttori, spesso piccoli, stentano ad arrivare direttamente ai mercati e devono affidarsi a intermediari. Questa condizione vale per tutto lo Stivale agricolo. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto Flai-Cgil, l’Agro Pontino nella provincia di Latina è una delle aree dove lo sfruttamento dei braccianti è più radicato, insieme a Caserta, Napoli, Capitanata, le campagne piemontesi, siciliane, il Fucino abruzzese e il Veneto. Delle 405 aree di caporalato diffuse, oltre la metà si trovano al Nord.

Lo sfruttamento e il lavoro in nero “convengono” soprattutto adesso, con i costi delle materie prime che salgono e i margini che scendono. Gli sforzi per la pulizia ci sono. Ogni anno nei grandi mercati italiani avvengono centinaia di controlli da parte del personale ispettivo dei mercati con le autorità preposte (NAS, Forestali, autorità sanitarie). I controlli riguardano il rispetto delle norme, la tracciabilità sui residui e il rispetto delle norme di commercializzazione.

Fabio Massimo Pallottini, presidente di Italmercati, rete che riunisce i 22 principali mercati all’ingrosso nazionali, ha adottato un codice etico che contrasta il caporalato. Secondo un’indagine Ismea-Italmercati, in Italia ci sono 137 strutture (sei volte più che in Spagna e Francia) attraverso cui passa il 50% dell’offerta ortofrutticola, il 33% di quella ittica e il 10% delle carni. Si tratta spesso di mercati piccoli, a rilievo locale, i cui clienti prevalentemente sono negozi al dettaglio.

Secondo Italmercati, c’è necessità di una riforma profonda con due parole d’ordine: accorpamento ed efficienza. Si deve individuare un numero, magari ridotto, di mercati strategici che garantiscano un sistema efficace ed efficiente, senza tralasciare i principali requisiti delle strutture: garantire ai consumatori servizi di tracciabilità e sicurezza alimentare.

Una posizione simile è adottata da Federdistribuzione. Il presidente, Carlo Alberto Buttarelli, sottolinea che il tema delle normative deve essere applicato meglio e con più attenzione. È una questione di cultura e autocontrollo della filiera alimentare. Le imprese della distribuzione moderna hanno sottoscritto nel 2017 un protocollo per contrastare il caporalato ed eliminare le aste a doppio ribasso che comprimono i costi agricoli.

Ai fornitori, dice Buttarelli, chiediamo l’adesione alla “Rete del lavoro agricolo di qualità” oppure di assumere la certificazione Grasp (Risk Assessment on Social Practice, Controllo dei Rischi nelle Pratiche Sociali) per la tutela dei lavoratori. Buttarelli precisa che la produzione agricola è caratterizzata da molte imprese piccole, preda di grossisti e intermediari senza scrupoli.

La trasparenza, però, non basta. Ieri, il segretario generale della Fai-Cisl nazionale, Onofrio Rota, ha insistito: «Se vogliamo dichiarare guerra al caporalato, dobbiamo partire da una politica dei prezzi giusta ed efficace per l’emersione di chi diventa irregolare. Chi vuole lavorare e non ha commesso reati non può rimanere nel limbo allo scadere del contratto, le persone devono essere riconosciute con dignità».

Lo sfruttamento è il motore con cui procede

La storia raccontata non tranquillizza le sorti dei lavoratori. L’agricoltura industriale, per mantenere bassi i prezzi ai consumatori, è costretta a risparmiare sulle risorse impiegate per il lavoro. Vogliono convincerci che pagare un bracciante clandestino 2 o 3 euro l’ora per raccogliere frutta e verdura e svolgere lavori di campo sia giustificato dalla necessità di rendere disponibili prodotti alimentari a prezzi accessibili. Ma questa è una realtà lontana dalla verità.

L’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, fatto 100 nel 2015, nel 2020 era vicino a 105, ad aprile 2021 superava 105, a gennaio 2022, con la guerra in Ucraina, era vicino a 110 e da ottobre 2022 si è attestato intorno a 120 fino ad aprile 2024. Dal 2000 al 2024 i prezzi hanno subito un aumento del 58,9%.

La riprova si trova nei dati recenti sull’andamento dei consumi alimentari. Nel 2023 è aumentata la spesa per tutti i comparti alimentari. Cresce la spesa per le uova (+14,1%), per i comparti di latte e derivati (+11,7%) e per i derivati dei cereali (+11,7%). Importanti incrementi di spesa si registrano anche per le carni (+6,7%). La spesa per i consumi alimentari domestici è aumentata dell’8,1% rispetto al 2022, mentre è diminuito il volume dei prodotti alimentari acquistati. Paghi di più per comprare meno.

L’agricoltura industriale ha come finalità quella di stabilizzare e aumentare i profitti dal capitale investito nelle attività agricole. Tuttavia, è fragilizzata dalla dipendenza dalle forniture a monte, di cui non controlla i prezzi (energia, sementi, macchine, logistica…), e utilizza il meccanismo di comprimere i costi del lavoro, fino alla schiavitù.

Il caporalato è un corollario di questa struttura di produzione. Le aziende competitive e moderne «italianissime» trovano nello sfruttamento del lavoro un modo per garantirsi profitti stabili e incamerare una parte importante del finanziamento pubblico per l’agricoltura, sia europeo che italiano. Il potere di mercato della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) può giustificare queste pratiche. I prezzi bassi pagati al cancello delle aziende agricole vanno a vantaggio della GDO e dell’industria agroalimentare, del «made in Italy», non del consumatore.

Un altro meccanismo di sfruttamento è l’autosfruttamento. Le aziende agricole di piccola o media dimensione, che vivono grazie al lavoro del conduttore o della conduttrice, ricevono qualche sostegno pubblico all’agricoltura («pochi ettari, pochi sostegni») e producono per il mercato interno. Devono competere nello stesso spazio di mercato delle grandi imprese agricole, che ricevono finanziamenti pubblici. Questa è una competizione sleale tra sistemi economici diversi e logiche diverse.

I prezzi pagati alle imprese che occupano lavoratori salariati non remunerano il lavoro del contadino che lavora direttamente in solitudine nelle aziende. Per mantenersi, il lavoro deve autosfruttarsi, chiedendo aiuto a un familiare. I dati confermano questa situazione. Il numero di lavoratori agricoli indipendenti e coltivatori diretti è diminuito a due cifre negli ultimi decenni, mentre il numero totale delle giornate di lavoro annue nelle aziende è diminuito di qualche punto percentuale. Molte aziende contadine sono sparite (2 su 3 negli ultimi 38 anni), e chi resta sopravvive lavorando di più. Questa è la situazione di circa 900mila piccole aziende agricole.

Morti sul lavoro: il prezzo del cibo a basso costo

Fabio Ciconte di Terra ha dichiarato: «Il cibo a basso costo ha un prezzo, lo paga chi è sfruttato nei campi». Questo mette in evidenza come il costo umano dello sfruttamento sia spesso ignorato nel dibattito pubblico. La questione non riguarda solo la sicurezza alimentare, ma anche la dignità e i diritti dei lavoratori agricoli.

Secondo un’indagine del centro ‘Altro diritto’ e dell’Osservatorio Rizzotto della Flai Cgil, ci sono state 834 inchieste in Italia sullo sfruttamento dei lavoratori, di cui 95 in Lombardia. Dopo una crescita dei casi fino al 2020 e un successivo decremento, ora si osserva una ripresa. Molto è cambiato dalla norma anticaporalato del 2016. A Bergamo, nel 2023, si registra una inchiesta, mentre dal 2010 se ne contano 5.

Il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento della manodopera non è confinato a una singola regione, ma è diffuso in tutto il territorio nazionale. Le inchieste e le indagini continuano a rivelare nuovi casi, dimostrando che il problema è lungi dall’essere risolto. La normativa anticaporalato del 2016 ha portato a cambiamenti significativi, ma non sufficienti a debellare completamente il fenomeno.

La crescita dei casi fino al 2020 e il successivo decremento, ora in ripresa, indicano che il problema è ciclico e richiede interventi strutturali e continui. La situazione a Bergamo, con una inchiesta nel 2023 e cinque dal 2010, è solo un esempio di come il fenomeno sia radicato e difficile da estirpare.

Bullet Executive Summary

In sintesi, il caporalato e lo sfruttamento della manodopera rappresentano una piaga per l’agricoltura italiana. Nonostante le normative e i controlli, il fenomeno persiste e si evolve, adattandosi alle nuove condizioni economiche e sociali. La filiera agroalimentare deve affrontare sfide significative per garantire trasparenza, sicurezza e dignità ai lavoratori.

Una nozione base di agricoltura correlata al tema principale dell’articolo è la rotazione delle colture. Questa pratica agricola consiste nell’alternare diverse colture sullo stesso terreno per migliorare la fertilità del suolo e ridurre le malattie delle piante. È una tecnica che può contribuire a rendere l’agricoltura più sostenibile e meno dipendente dai prodotti chimici.

Una nozione di agricoltura avanzata applicabile al tema dell’articolo è l’agricoltura di precisione. Questa pratica utilizza tecnologie avanzate come i droni, i sensori e i sistemi di informazione geografica (GIS) per monitorare e gestire le colture in modo più efficiente. L’agricoltura di precisione può aiutare a ridurre i costi di produzione e migliorare la resa delle colture, contribuendo a creare un sistema agricolo più sostenibile e meno dipendente dallo sfruttamento della manodopera.

In conclusione, riflettiamo su come le nostre scelte di consumo possano influenzare la filiera agroalimentare. Scegliere prodotti etici e sostenibili può fare la differenza nella lotta contro il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori. Ogni piccolo gesto conta e può contribuire a creare un sistema agricolo più giusto e sostenibile per tutti.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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