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Lollobrigida risponde su caporalato e sfruttamento: le verità non dette

Un'analisi dettagliata delle risposte del ministro Lollobrigida sulle condizioni di lavoro in agricoltura e le accuse di sfruttamento. Scopri cosa è emerso durante il question time.
  • 20% dei migranti arriva attraverso il decreto flussi e ottiene un contratto regolare, mentre l'80% resta irregolare.
  • Il ministro ha annunciato l'uso di 200 milioni di euro per chiudere i ghetti, ma mancano incentivi efficaci per le aziende.
  • Dal 2010 a Rosarno alla morte di Satnam Singh, le condizioni di lavoro in agricoltura non sono migliorate significativamente.

Caporalato e sfruttamento? Colpa dei precedenti governi. Queste sono state le disarmanti risposte del ministro Lollobrigida alle domande di Susanna Camusso, Annamaria Furlan e della pentastellata Gisella Naturale durante il question time di Palazzo Madama. La discussione si è concentrata sull’omicidio di Satnam Singh, portando alla luce le intollerabili condizioni di lavoro e di vita di migliaia di lavoratori agricoli, migranti e italiani.

Le interrogazioni delle tre senatrici del Pd e del M5s si sono basate sull’analisi della Flai Cgil. Il segretario generale Giovanni Mininni ha osservato che la legge Bossi-Fini ha cancellato l’impostazione securitaria, rivelandosi un fallimento: “Solo il 20% dei migranti arriva con il decreto flussi e ottiene un contratto regolare, mentre l’80% dei migranti arrivati con il decreto, come Satnam, è costretto a diventare un fantasma”. La Flai ha chiesto di utilizzare 200 milioni del Pnrr per cancellare la vergogna italiana degli ‘insediamenti informali’, baraccopoli senza servizi di base come l’acqua.

Da Lollobrigida è arrivata una risposta sui 200 milioni, affermando che sono a disposizione per chiudere i ghetti. Il ministro ha puntato l’indice sulla Rete del lavoro agricolo di qualità, prevista dalla legge 199 del 2016, ma senza incentivi per promuovere comportamenti virtuosi nelle aziende. “Non è uno strumento efficace”, ha sentenziato il ministro, anticipando una profonda revisione. Grazie alle insistenze di Camusso, Furlan e Naturale, Lollobrigida ha corretto il tiro: “Non ho pregiudiziali rispetto a fattori incentivanti, la volontarietà dell’adesione alla Rete non ha portato a nulla. Non so se la possibilità di un criterio di obbligatorietà sia recepibile dal nostro sistema, ma siamo pronti a discuterne”.

Dal ministro dell’Agricoltura sono arrivati annunci, come quello di aumentare il numero di ispettori per i controlli: “Sono mesi che presentiamo emendamenti che sono stati assunti dagli enti preposti”, ha replicato Furlan. “Abbiamo bisogno di condizioni di vantaggio per le imprese che aderiscono alla Rete e di informare i consumatori su quelle che non aderiscono, affinché sappiano come viene prodotto ciò che mangiano”.

“Lo sfruttamento in agricoltura è l’effetto della Bossi-Fini e dei decreti flussi che rendono i lavoratori ricattabili”, ha ricordato Camusso a Lollobrigida, che non ha risposto alle domande. “Occorre introdurre regole e l’obbligatorietà per l’ingresso delle imprese nella Rete”, ha concluso la senatrice, “e produrre indici di congruità per le aziende che non vogliono sottrarsi ai doveri. I lavoratori che denunciano devono avere il permesso di soggiorno e l’assistenza legale”.

In Italia non esiste soltanto il caporalato

A Rosarno, nel 2010, si verificò la famosa “rivolta delle arance”. Negli ultimi giorni, per impegni di lavoro, sono transitata nella zona di Reggio Calabria, vicino a Rosarno. Rosarno, nel gennaio 2010, finì sui media di tutto il mondo per via della famosa «rivolta delle arance», portata avanti dai lavoratori extracomunitari che vivevano in condizioni indegne sul posto. Sfruttati dai caporali, costretti a raccogliere agrumi per meno di venti euro al giorno, obbligati a risiedere in baraccopoli o, peggio, all’interno di silos, privati dei diritti elementari e di un minimo senso di civiltà, una popolazione di circa 1.500 persone mise a soqquadro un paese, distruggendo, incendiando, gridando, facendo tutto il possibile per comunicare l’orrore a cui erano sottoposti.

Quindici anni dopo, a Latina, il bracciante Satnam Singh è morto a causa di un incidente nell’azienda agricola in cui era impiegato. Pesa un’indagine avviata da cinque anni per reati collegati al caporalato. Satnam rimase incastrato in macchinari avvolgiplastica, ritrovandosi amputato. Fu prelevato dal datore di lavoro e scaricato davanti alla sua abitazione, senza che gli fosse prestato soccorso. In ospedale, Satnam ci arrivò troppo tardi. Morì dissanguato poco dopo.

Due orrende situazioni speculari, ali di una stessa farfalla che sbattono dopo più di un decennio, avvisano che nulla all’apparenza è cambiato. La danza della disperazione si svolge ancora: ancora azioni efferate e incidenti, come a Rosarno, la rabbia di chi sopravvive continua a sottostare a condizioni barbare; cortei, proteste, manifestazioni, denunce, appelli e promesse. Proclami.

Quanto stiamo vedendo in questi giorni lo abbiamo già visto. Lo spettacolo indegno a cui assistiamo è parte di un orizzonte comune, solo un occhio superficiale potrebbe liquidarlo. La situazione è più complessa, inglobando anche le necessità della controparte italiana. Rosarno ha fatto storia, tacciata di razzismo generalizzato. Ci sono anche contesti locali che nulla hanno a che vedere con la dissennatezza dei caporali; uomini e donne che provano a cambiare le cose, al netto di una situazione disperatissima.

Ne ho avuto prova negli ultimi giorni, passando dall’area rosarnese e informandomi da un amico. Le baraccopoli non sono scomparse, ma ci sono iniziative nate da calabresi per aiutare gli immigrati a migliorare le loro condizioni di vita: come quelle del Consorzio Macramè, che si preoccupa di far accedere le persone ai servizi essenziali, al sistema sanitario nazionale e di cercare un’abitazione. Sembra poco? Banale? È una rivoluzione bell’e buona.

Apprendevo tutto questo pensando a Satnam, ucciso dall’indifferenza e dalla mancanza di umanità del resto. Pensavo ai piccoli immensi passi che si stanno facendo per Rosarno, e a quelli più grandi che dovranno essere fatti per gli altri, per migliaia di extracomunitari residenti nell’Italia intera.

Caporalato, al Sud c’è anche chi lo combatte

Il caporalato non conosce territori: lo sfruttamento del lavoro nei campi riguarda tutto il Paese. Al Sud, in aree fertili e vocate, come la Piana di Gioia Tauro in Calabria e la zona del foggiano in Puglia, il fenomeno assume una risonanza particolare, intrecciandosi con questioni migratorie, agromafie e il peso della grande distribuzione organizzata (Gdo).

Il modello Goel contro lo sfruttamento
Nella Locride, Vincenzo Linarello, fondatore e presidente di Goel, per il cambiamento e il riscatto della Calabria, inquadra il problema del reclutamento illegale dei braccianti extracomunitari, dall’intermediazione alla catena di forniture agricole della Gdo: «Troppi passaggi, intermediari e grossisti locali abbassano il primo prezzo all’agricoltore. Per le arance, 10 centesimi al kg. L’agricoltore, per non lasciarle marcire, deve tagliare il costo del lavoro e sfruttare».

Gli indiani dei piccoli frutti
Sul versante ionico della Calabria vive, da 10 anni, una popolosa comunità di indiani. Circa 2000 tra Reggio Calabria, Melito, Siderno, Bovalino, Locri, Brancaleone e Condofuri, 3500 in tutta la provincia. La maggior parte lavora nei campi, nelle piantagioni di frutti di bosco: piccole realtà agricole nate 20 anni fa da un progetto dell’ex vescovo di Locri, Gian Carlo Bregantini, originario di Trento. Portò in Calabria il consorzio Sant’Orsola, una cooperativa di lavoratori stagionali per la coltivazione di lamponi, finita nel mirino della ‘ndrangheta. Il progetto non si è mai fermato.

Fattoria della Piana, 30% operai extracomunitari
Il responsabile delle stalle della Fattoria della Piana, con ambienti robotizzati per la mungitura a flusso libero e doccette di ventilazione per il ristoro degli animali nei periodi caldi, è un indiano che lavora lì da tanti anni. L’azienda, un’eccellenza calabrese in provincia di Reggio Calabria, è conosciuta per la qualità dei suoi prodotti lattiero-caseari, l’attenzione al benessere degli animali, la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale (in Giappone è un modello d’impresa). Quasi il 30% degli operai agricoli è extracomunitario. Dei 180 dipendenti, ci sono anche senegalesi, marocchini e sudamericani. «Per noi è fondamentale stabilire rapporti corretti», spiega Federica Basile, il cui padre Carmelo ha passato il testimone della presidenza dell’azienda. «Agli operai e braccianti diamo vitto e alloggio, assicuriamo un contratto regolarmente registrato e una busta paga adeguata. Il caporalato lo soffriamo anche noi. Questo meccanismo nega i diritti di chi lavora e si ritorce contro di noi con una concorrenza sleale».

Il fenomeno cambia: ex braccianti, nuovi caporali
In molti territori, come la Piana di Gioia Tauro, associazioni, cooperative e sindacati hanno messo in campo pratiche contro lo sfruttamento dei braccianti per garantire i diritti dei lavoratori stagionali, soprattutto africani. Lavoro legale, alloggio e accesso ai servizi sanitari tengono alla larga i caporali. Il fenomeno, però, ha subito delle evoluzioni: «Oggi i nuovi intermediari illegali sono spesso ex braccianti», spiega Celeste Logiacco, Segretaria confederale di Cgil Calabria con delega all’immigrazione. «Il numero di lavoratori stranieri sta diminuendo, molti cercano sbocchi nell’edilizia, nel commercio e nei servizi, oppure provano in lavori agricoli tutto l’anno, come la raccolta del kiwi».

Bullet Executive Summary

In conclusione, il fenomeno del caporalato in Italia rappresenta una questione complessa e radicata che richiede interventi strutturali e una maggiore consapevolezza da parte delle istituzioni e della società civile. Le storie di Satnam Singh e della rivolta di Rosarno sono emblematiche di una realtà che non può essere ignorata. Tuttavia, esistono anche esempi positivi di iniziative locali che cercano di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti, dimostrando che il cambiamento è possibile.

Una nozione base di agricoltura correlata al tema principale dell’articolo è l’importanza della rotazione delle colture, una pratica che può migliorare la fertilità del suolo e ridurre la dipendenza dai pesticidi. Una nozione avanzata è l’implementazione di sistemi di agricoltura di precisione, che utilizzano tecnologie avanzate per monitorare e ottimizzare l’uso delle risorse, migliorando l’efficienza e la sostenibilità delle pratiche agricole.

Riflettendo su queste storie e pratiche, possiamo comprendere meglio le sfide e le opportunità nel settore agricolo, e come ognuno di noi, come consumatori e cittadini, possa contribuire a un sistema più equo e sostenibile.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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