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- A Lodi, braccianti costretti a 512 ore mensili, contro le 169 contrattuali.
- Evasione contributiva e fiscale stimata in 3 milioni di euro in 7 anni.
- La Legge 199/2016 sanziona il caporalato, ma resta scarsamente efficace.
Sfruttamento del lavoro agricolo: un’emergenza nazionale
Le recenti indagini condotte in diverse regioni italiane hanno portato alla luce una realtà allarmante: lo sfruttamento dei lavoratori agricoli, un fenomeno che affonda le radici in un sistema di caporalato diffuso e ramificato. Dalle campagne pratesi alla pianura Padana, fino alle aziende agricole livornesi, emerge un quadro desolante di braccianti costretti a condizioni di lavoro disumane, con paghe irrisorie e turni massacranti.
Il caso di Castelfiorentino, in provincia di Firenze, è emblematico. Un bracciante marocchino, vittima di un incidente sul lavoro che gli è costato l’amputazione di un dito, ha avuto il coraggio di denunciare i suoi sfruttatori, facendo scattare un’indagine che ha smantellato una rete di caporalato operante anche nelle campagne pratesi. L’uomo era stato costretto a mentire sulle circostanze dell’incidente, ma ha poi deciso di rivelare la verità, portando all’arresto di un individuo accusato di caporalato, lesioni colpose aggravate e impiego di lavoratori senza permesso di soggiorno, oltre a violazioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. Durante i controlli, i carabinieri hanno identificato diciotto lavoratori sfruttati, tutti di nazionalità marocchina, otto dei quali privi di documenti in regola. Per una retribuzione irrisoria e sovente variabile, i lavoratori agricoli venivano impiegati in diversi terreni tra Prato, Firenze e Siena per attività come la sfoltitura di piante, la raccolta di uve e olive, la legatura dei vitigni e il trasporto di gabbie destinate ai volatili. Erano inoltre obbligati a turni lavorativi massacranti e alloggiavano in sistemazioni precarie e insalubri.

Sfruttamento senza confini: la situazione nella pianura Padana e in altre regioni
La situazione non è migliore nella pianura Padana, dove un’inchiesta della Guardia di Finanza di Lodi ha scoperto un sistema di sfruttamento di oltre mille braccianti impiegati nella raccolta di frutta e verdura. I lavoratori, provenienti da paesi africani e asiatici, erano costretti a turni di lavoro che raggiungevano le 512 ore mensili (17 ore al giorno), senza ferie, permessi o riposi, a fronte delle 169 ore previste dal contratto nazionale di lavoro. L’imprenditore agricolo, sfruttando lo stato di necessità dei lavoratori, forniva loro alloggi precari, degradanti e sovraffollati in capanni e prefabbricati nei campi, detraendo una quota per il posto letto e le utenze dal loro misero stipendio. Le accuse contestate al titolare dell’azienda agricola sono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, con un’evasione contributiva e fiscale stimata in circa 3 milioni di euro in sette anni.
Anche in altre regioni, come in Toscana, nelle campagne livornesi, i controlli anti-caporalato hanno portato a denunce per mancata visita medica per l’assunzione del personale, omessa formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e omessa redazione del documento di valutazione dei rischi. Nel bolognese e nel ferrarese, si è individuato il fenomeno del caporalato anche nel reclutamento di assistenti familiari, procacciate tramite social network con accordi non regolari, prive di protezione legale e forzate a turni massacranti.
La risposta istituzionale: la Rete del Lavoro Agricolo di Qualità
Di fronte a questa emergenza, le istituzioni stanno cercando di reagire. La Legge 199/2016 ha introdotto la sanzionabilità del datore di lavoro per il reato di caporalato e ha rafforzato l’istituto della confisca e l’adozione di misure cautelari relative all’azienda agricola. Tuttavia, le misure tese al contrasto delle condizioni alla base dell’intermediazione illegale di manodopera restano inapplicate o scarsamente efficaci.
Un ruolo importante è svolto dalla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità (ReLaQ), uno strumento di controllo e prevenzione del lavoro nero in agricoltura. La ReLaQ prevede un allargamento dei meccanismi di certificazione dei prodotti e delle filiere di produzione, interventi per migliorare i servizi di incontro tra domanda e offerta di lavoro e azioni per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori. Tuttavia, la ReLaQ presenta ancora delle criticità, come la disomogeneità territoriale delle adesioni e la difficoltà di incidere sulle asimmetrie strutturali che alimentano il fenomeno del caporalato.
Oltre la repressione: un approccio integrato per contrastare lo sfruttamento
Per contrastare efficacemente lo sfruttamento del lavoro agricolo, è necessario un approccio integrato che vada oltre la repressione e che intervenga sulle cause profonde del fenomeno. È fondamentale rafforzare i controlli e le sanzioni nei confronti dei datori di lavoro che sfruttano i lavoratori, ma è altrettanto importante promuovere un’agricoltura di qualità, che valorizzi il lavoro e rispetti i diritti dei lavoratori.
È necessario, inoltre, favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri, offrendo loro opportunità di formazione e di accesso a servizi sociali e sanitari. Solo così sarà possibile spezzare il circolo vizioso dello sfruttamento e garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti.
Riflessioni finali: coltivare la dignità, raccogliere giustizia
Il tema del caporalato e dello sfruttamento del lavoro agricolo ci pone di fronte a una realtà scomoda, una ferita aperta nel tessuto sociale del nostro paese. Dietro i prodotti che arrivano sulle nostre tavole, spesso si nascondono storie di sofferenza e di ingiustizia.
L’agricoltura, per sua natura, è legata al ciclo della vita, alla cura della terra e al rispetto dei suoi ritmi. Un concetto base dell’agricoltura è la rotazione delle colture, una pratica che consiste nell’alternare diverse colture sullo stesso terreno per migliorarne la fertilità e prevenire l’esaurimento delle risorse. Allo stesso modo, è necessario un cambio di mentalità, una rotazione dei valori, per coltivare la dignità umana e raccogliere giustizia sociale.
Un concetto più avanzato è l’agricoltura di precisione, che utilizza tecnologie avanzate per ottimizzare l’uso delle risorse e ridurre l’impatto ambientale. Allo stesso modo, è necessario un approccio di precisione per contrastare lo sfruttamento del lavoro agricolo, individuando le cause specifiche del fenomeno e adottando misure mirate per affrontarle.
La lotta contro il caporalato è una sfida complessa, che richiede l’impegno di tutti: istituzioni, imprese, sindacati, organizzazioni del terzo settore e cittadini. È necessario unire le forze per costruire un’agricoltura più giusta e sostenibile, che valorizzi il lavoro e rispetti i diritti di tutti i lavoratori. Solo così potremo coltivare un futuro migliore per le nostre campagne e per la nostra società.