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- L'Abruzzo ha accolto 4.131 migranti tra gennaio e agosto 2024, aumentando la forza lavoro nel settore agricolo.
- I lavoratori stranieri contribuiscono con 2,1 miliardi di euro al PIL agricolo della regione.
- Solo il 16,2% della manodopera necessaria è attualmente coperta da lavoratori immigrati, evidenziando una crescente domanda.
- Il 28% dei lavoratori stranieri ha contratti a lungo termine, mentre il 40,2% è soggetto a contratti temporanei, esponendoli a sfruttamento.
L’Abruzzo, tra gennaio e agosto del 2024, ha ricevuto 4.131 migranti, di cui 3.218 trovano riparo presso le strutture di accoglienza e 913 nelle strutture del sistema Sai. Questo afflusso migratorio costituisce un elemento chiave nel comparto agricolo della regione, impiegando circa 36.000 lavoratori stranieri e generando un contributo di 2,1 miliardi di euro al PIL. Si prevede che la domanda di lavoratori stranieri aumenterà, con l’inserimento previsto di 11.300 nuovi impiegati entro il 2028. Attualmente, i lavoratori immigrati rappresentano solo il 16,2% della manodopera necessaria nei vari comparti economici, sottolineando la notevole dipendenza dell’agricoltura da questa forza lavoro.
Le Condizioni di Lavoro e il Rischio di Sfruttamento
Il settore agricolo è segnato da una forte precarietà contrattuale per i lavoratori stranieri. Stando a un censimento del 2020, il numero di stranieri nelle aziende agricole non familiari ammontava a circa 8.606, che rappresentavano un terzo del totale dei lavoratori. Solo il 28% di questi dispone di un contratto a lungo termine, mentre il 40,2% lavora con contratti temporanei. Questa situazione li pone a rischio di sfruttamento, anche se il fenomeno del caporalato risulta storicamente meno prevalente in Abruzzo rispetto ad altre regioni meridionali italiane. Tuttavia, sono stati avviati procedimenti giudiziari riguardanti il caporalato in diverse aree, come la provincia di Teramo e la zona del Fucino.
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Paga e Condizioni di Vita dei Lavoratori
Le condizioni di lavoro per i migranti nel settore agricolo sono spesso inaccettabili, con salari orari che, prima delle misure dell’ONU, erano circa 4,5 euro. In Puglia, ad esempio, i lavoratori ricevono solo 3 euro per ogni cassone da tre quintali di pomodori raccolti, vivendo in ambienti insalubri come il “Gran Ghetto di Rignano”. Sebbene iniziative come “Capo free ghetto off” della regione Puglia siano state attuate, i risultati sono stati limitati, mettendo in luce la necessità di un maggiore impegno da parte delle istituzioni e di una pianificazione più efficace.
Una Prospettiva di Cambiamento
La questione del caporalato e dello sfruttamento degli stranieri richiede un intervento immediato e un approccio concertato tra varie parti interessate. Le istituzioni, in collaborazione con le organizzazioni agricole e sindacali, devono unirsi per intensificare i controlli e garantire condizioni di lavoro umane. La sistematizzazione dei contratti e la concessione dei diritti di residenza sono passi essenziali per migliorare la situazione. Inoltre, è vitale promuovere la conoscenza dei diritti dei lavoratori e ampliare le opzioni di autodeterminazione.
In agricoltura, la rotazione delle colture è una pratica essenziale per preservare la fertilità del suolo e mitigare la proliferazione di parassiti e malattie. Questa strategia, semplice ma efficace, può essere adottata anche in contesti di agricoltura intensiva, in cui i lavoratori immigrati sono spesso impiegati. Un approccio più avanzato è l’agricoltura di precisione, che fa uso di tecnologie come droni e sensori per ottimizzare l’utilizzo delle risorse e aumentare produttività. Riflettendo su queste pratiche, possiamo immaginare un futuro in cui l’agricoltura sia non solo più efficiente, ma anche più equa e sostenibile per tutti i lavoratori coinvolti.